Riforma del preruolo e borse di ricerca post-lauream: un rischio inaccettabile

La riforma del preruolo, recentemente varata attraverso la conversione in legge del D.L. 36/2022, contiene dei punti di novità fondamentali e alcune criticità, che in parte avevamo già segnalato nell’intervento del segretario di ADI Luca Dell’Atti durante la conferenza stampa tenutasi lo scorso 5 luglio in Senato. (https://dottorato.it/content/conferenza-stampa-riforma-reclutamento-inte...). 

Uno dei punti più problematici è costituito dalle cosiddette “Borse di Ricerca”.

La Borsa di Ricerca è il rapporto in base al quale l’ateneo mette a disposizione di una persona una somma di denaro, allo scopo di favorire e sostenere la sua formazione nello svolgimento di un’attività di ricerca, escludendo che ciò determini l’erogazione di una prestazione di lavoro a favore dell’Ateneo.

Nel nostro ordinamento, le Borse di Ricerca sono disciplinate dalla legge n.398 del 1989 e dalla legge n.210 del 1998.

Il comma 6-vicies-ter del DL 36/2022 interviene sull’ art. 1, comma 1, della legge n. 398 del 1989, recante "Norme in materia di borse di studio universitarie", determinando la soppressione del conferimento borse di studio universitario per lo svolgimento di attività di ricerca dopo il dottorato. Già con la cosiddetta riforma Gelmini (legge 240/2010, art. 29, comma 11, lettera b) si eliminava la distinzione tra borse post lauream e post dottorato, attraverso la modifica dell'art. 4 della legge n. 398 del 1989. Tuttavia, la vigenza - all'art. 1 della medesima legge - della disposizione che l’intervento va ora a sopprimere, aveva determinato dubbi applicativi in relazione alla possibilità di conferire borse di studio post dottorato.

In altre parole, secondo il comma 6-vicies-ter non sarà più possibile finanziare posizioni di postdoc attraverso borse di ricerca. 

Il dossier in accompagnamento al D.L. 36/2022, p. 177 spiega la ratio del comma 6-vicies-ter, stabilendo che “Il contratto di ricerca costituisce, infatti, il riferimento per lo sviluppo del dottore di ricerca che si avvia alla carriera accademica” e pertanto “La disposizione [...] contribuisce alla razionalizzazione dell’impatto complessivo dell’intervento normativo, nonché alla migliore canalizzazione delle risorse, evitando di alimentare sacche di precariato che la riforma intende appunto superare.

Fin qui l’impianto e la ratio dell’intervento non presentano criticità: si vogliono eliminare le borse post-dottorato in maniera tale che coloro che terminano il dottorato di ricerca possano iniziare il loro percorso di carriera accademica tramite i Contratti di Ricerca, eliminando la possibile formazione di sacche di precariato che l’esistenza di borse post-doc alimenterebbe.

Tuttavia attualmente i regolamenti di molti atenei in materia di borse di studio di ricerca bandite non fanno riferimento alla legge n.398 del 1989, bensì all’articolo 4, comma 3 della legge n.210 del 1998 citata prima. Questa legge interviene tra le varie cose in materia di “borse di studio conferite dalle università per attività di ricerca post-laurea”.

Questo articolo quindi consente di erogare borse post lauream a chi ha il titolo di dottore di ricerca, in quanto appunto possessore del titolo di studio richiesto (la laurea).

Il fatto che il comma 6-vicies-ter del D.L. 36/2022 non vieti esplicitamente di erogare borse a chi detiene il titolo di dottore di ricerca porta a una inaccettabile possibilità da parte di atenei ed enti di svalutare la posizione lavorativa del postdoc, dopo una riforma che ha invece come obiettivo una sua valorizzazione come parte integrante di quegli stessi enti e atenei.

Sull'interpretazione della norma interviene quindi il MUR, di fatto confermando ampia libertà di manovra per gli atenei.

La Nota ai rettori diffusa dal MUR il 7 luglio 2022 indica infatti che le borse post lauream “restano tuttora regolate dai singoli atenei sulla base dell’ampia autonomia ad essi riconosciuta dalle norme primarie di riferimento (vedasi in particolare l’art. 4, comma 3, della legge n. 210 del 1998 e l’art. 60, comma 1, del decreto-legge n. 169 del 2013) che ne consente già molteplici possibilità di impiego”. Ciò suggerisce quindi che al momento non sembra essere presente una modifica all’istituto delle borse di studio post lauream e alla libertà del loro impiego da parte degli Atenei, che quindi hanno la facoltà di continuare a bandire borse di ricerca aperte anche ai ricercatori post-dottorato. 

Tuttavia, a ulteriore rafforzamento dell’intenzione di eliminare la possibilità di erogare borse di ricerca a chi detiene il titolo di dottore di ricerca, la circolare prosegue affermando che la nuova regolamentazione dell’istituto è contenuta nel disegno di legge A.S. 2285, recante “Disposizioni in materia di attività di ricerca e di reclutamento dei ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca”, già approvato dalla Camera e da tempo all’esame della 7a Commissione del Senato. Il passaggio in questione (Art. 2, comma 3) è nello specifico il seguente: “Possono concorrere alle borse di ricerca esclusivamente coloro che sono in possesso di laurea magistrale, di laurea specialistica ovvero di diploma di laurea [...], o di titolo equipollente conseguito in Italia o all'estero, in discipline coerenti con l'attività di ricerca per cui è bandita la borsa di ricerca, con esclusione del personale di ruolo delle università e degli enti pubblici di ricerca, dei ricercatori a tempo determinato e di chi è già in possesso del titolo di dottore di ricerca.” 

Tuttavia l’esame parlamentare di questo disegno di legge, a causa dei recenti sviluppi in termini di politica interna che hanno portato allo scioglimento delle camere, non potrà vedere la luce in questa legislatura. 

Sono molte le segnalazioni che stanno arrivando su un possibile utilizzo da parte degli atenei delle borse di ricerca come mezzo per “risparmiare” ed evitare i nuovi contratti di ricerca, nonostante l’intento esplicito della riforma.

Le borse di studio post lauream sono molto meno tutelate di qualunque tipologia contrattuale attualmente disponibile per la figura di ricercatore post-doc: non prevedono iscrizione alla gestione separata dell’INPS, non permettono di accedere alla DIS-COLL una volta terminato il contratto, non danno diritto a punteggio nei concorsi per l’insegnamento a scuola, e non permettono di accumulare anzianità a fini curricolari. 

Come ADI abbiamo sempre sostenuto che naturale sbocco per il dottore di ricerca debba essere una posizione come l’attuale Ricercatore a tempo determinato universitario (https://dottorato.it/content/guida-adi-alla-riforma-del-preruolo-2022), e tuttavia riconosciamo fondamentale la formulazione posta dal dossier, in quanto stabilisce in maniera univoca come la figura del postdoc debba essere disciplinata attraverso un vero contratto. Non una forma di lavoro parasubordinata, come era l’Assegno di Ricerca, né tantomeno le Borse di Ricerca.

La possibilità di un abuso del ricorso alle Borse di Ricerca da parte degli Atenei è un rischio che deve essere tempestivamente scongiurato con un provvedimento ad hoc ed esplicito alla prima occasione utile; il dossier interpretativo non è sufficiente.

Come ADI siamo coscienti delle difficoltà delle colleghe e dei colleghi in questo momento. Molte ricercatrici e ricercatori, di fronte alla concreta possibilità di dover scegliere tra una Borsa di Ricerca offerta o risultare disoccupate e disoccupati, preferiranno sicuramente la prima possibilità. Ed è una scelta del tutto comprensibile che riguarderà personalmente anche tanti che hanno contribuito in questi anni a portare avanti le proposte su questi temi. 

Le borse tuttavia possono rappresentare al massimo una soluzione emergenziale in un periodo di transizione, non certo la norma. Scongiurare un loro abuso deve essere obiettivo da perseguire attraverso una norma esplicita e lo stanziamento di risorse aggiuntive, in uno sforzo congiunto in cui devono essere coinvolti enti e atenei.

La tenuta del sistema ricerca in Italia deve essere interesse che porta a unire tutti gli attori in campo nelle medesime richieste e non a ricorrere a scorciatoie che portano solo alla creazione di un esercito di post-doc “usa e getta”. In linea con i principi che hanno mosso la Riforma, legati alla dignità delle ricercatrici e dei ricercatori, tale necessità rappresenta anche un nodo strategico per garantire continuità tra i percorsi dottorali e il preruolo, così come un più ampio accesso a fonti di finanziamento da parte di giovani ricercatori, supportando la fattibilità e la sostenibilità di progetti di ricerca, in corso e futuri. 

Il rispetto da parte di Rettrici e Rettori, e Direttrici e Direttori di Dipartimento della ratio del nuovo impianto legislativo è indispensabile, come anche il vigilare affinché ovunque possibile si attivino contratti per i post-doc, il cui lavoro deve essere valorizzato tramite le forme di impiego previste. La politica e le istituzioni tuttavia non possono ignorare le necessità di rifinanziamento complessivo di un settore la cui tenuta appare drammaticamente a rischio, non appena si introducono modalità contrattuali rispettose della dignità del lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori postdoc.