V Indagine ADI su Dottorato e Post-Doc

In occasione della sua V edizione l’Indagine annuale ADI conosce una profonda riorganizzazione. La varietà dei temi trattati consiglia una divisione in più sezioni tematiche, con altrettante presentazioni – il 9 giugno 2015 presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati a Roma, il 18 giugno presso l’Università “Aldo Moro” di Bari e il 2 dicembre presso l’Università Milano-Bicocca – che consentono all’Associazione di toccare le diverse macroaree del Paese.

Nella sezione tematica sul dottorato di ricerca si evidenziano gli effetti della nota ministeriale 436/2014, che determina, in un solo anno, un vero e proprio crollo (-25%) del numero di posti di dottorato banditi annualmente a livello nazionale – rischio che l’ADI aveva tempestivamente e ampiamente segnalato a MIUR e ANVUR. Si consolida dunque una tendenza destinata a peggiorare la già pessima condizione dell’Italia, che nel 2012 si collocava in fondo alla graduatoria europea per numero di dottorandi ogni 1.000 abitanti, con effetti insostenibili specialmente per gli atenei del Sud. Scendendo più a fondo nell’analisi delle sperequazioni territoriali, le elaborazioni ADI evidenziano come per il XXX ciclo 10 università (e 8 città) garantiscano il 44% dei posti mentre 7 regioni (una sola delle quali nel Sud Italia) coprano il 74,5% delle posizioni bandite. Lo scenario nazionale appare segnato da cambiamenti preoccupanti anche in materia di tassazione del dottorato: aumenta la percentuale degli atenei che operano una tassazione dei dottorandi senza borsa non parametrata sull’ISEE, gli atenei che tassano anche i dottorandi con borsa salgono da 9 a 15 mentre il livello della tassazione media è decisamente più alto negli atenei del Sud rispetto agli atenei del Nord Italia, sia in termini assoluti sia in termini di incidenza sul reddito medio pro capite per Regione.

Non si registrano cambiamenti degni di nota per le fosche prospettive di reclutamento per i giovani ricercatori né nella forte concentrazione dei bandi in pochi atenei, collocati prevalentemente nel Centro-Nord. A distanza di quasi 5 anni dall’entrata in vigore della legge 240/2010, legge che secondo le parole dell’allora Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Mariastella Gelmini avrebbe dovuto “per la prima volta spalanca[re] porte e finestre dell’Università ai giovani, ai giovani ricercatori, ai giovani studiosi”, i dati attestano il completo fallimento della riforma: i tassi di reclutamento annui dei ricercatori a tempo determinato registrati tra il 2010 e il 2015 sono infatti abbondantemente inferiore al tasso di reclutamento annuo medio dei ricercatori a tempo indeterminato precedente alla legge 133/2008. La «tenure track» all’italiana si rivela dunque come un modo per scaricare gli effetti dei tagli lineari ai finanziamenti e del blocco del turn over sulla componente più debole della comunità accademica.

Infine, per questa edizione dell’Indagine, l’ADI si avvale del confronto con dottorandi, dottori di ricerca e assegnisti sul tema della valorizzazione del titolo di PhD al di fuori dell’Università. Da una consultazione on line che vede la partecipazione di centinaia di colleghi emerge una vasta gamma di proposte. In merito alla valorizzazione all’interno della Pubblica Amministrazione, è molto sentita l’esigenza di una adeguata valutazione del titolo nei concorsi. I colleghi segnalano come priorità per la valorizzazione nella Scuola: l’attribuzione dell’abilitazione all’insegnamento a chi termina un percorso di formazione dottorale, l’aumento dei punteggi attribuiti al titolo nei concorsi per l’insegnamento e la previsione di nuovi profili professionali che si occupino delle attività integrative e di formazione. Il settore privato, infine, appare caratterizzato, secondo coloro che partecipano alla consultazione, da un profondo gap di conoscenza che divide imprese e dottori di ricerca: da una parte, le imprese italiane percepiscono spesso il dottore di ricerca come un neolaureato che entra nel mercato del lavoro con 3 anni di ritardo; dall’altra, molti dottori di ricerca non conoscono le dinamiche del mercato del lavoro e questa condizione non consente loro di presentare nel modo più efficace le competenze acquisite.

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