Per un nuovo modello di reclutamento accademico

 

Per un nuovo modello di reclutamento accademico

La proposta dell’ADI per la riforma del pre-ruolo

1. Un argine al deserto che avanza

L’ADI si batte da anni per una riforma radicale del pre-ruolo in grado di mettere fine allo sfruttamento dei ricercatori precari, offrire loro prospettive di carriera in tempi certi, semplificare la giungla contrattuale oggi esistente e rimettere l’Università italiana nelle condizioni di crescere e portare sviluppo per il Paese. A sei anni dalla legge 240/2010, una simile riforma strutturale è urgente e non più rinviabile. Dal 2008 ad oggi il personale docente strutturato si è contratto di più di 10.000 unità. Il reclutamento è stato di fatto bloccato tra il 2009 e il 2011, con il 20% del turnover, per poi fermarsi al 50% a partire dal 2012. La figura del Ricercatore a tempo indeterminato, che nel 2010 contava oltre 25.000 unità, è stata abolita e sostituita con due figure di ricercatori a tempo determinato (RTD), dette di tipo a (RTDa) e di tipo b RTDb). Gli RTDa, senza alcuna garanzia di stabilizzazione, contano ad oggi 3.000 unità, mentre gli RTDb,in tenure track, erano appena 700 fino al 2015, e sono saliti a 1.800 solo con il piano straordinario del DM 78/2016.

A fronte di un numero di RTD così basso, si è assistito dal 2010 a un boom senza precedenti dei contratti di assegno di ricerca, con un picco di più di 16.000 posizioni nel 2013. L’assegno di ricerca si è rivelato essere la chiave di volta dello sfruttamento del lavoro precario nell’Università: gli atenei non hanno esitato ad abusarne, evitando di bandire posti da RTD, più costosi e maggiormente tutelati dal punto di vista contrattuale. L’assegno di ricerca è invece estremamente conveniente per le Università: un contratto para-subordinato, rinnovabile fino a 4 anni, privo di tutele e tale da non dare diritto ad alcuna indennità di disoccupazione, come la DIS-COLL, per cui l’ADI si è battuta nel corso di tutto il 2015 con una campagna nazionale.

Oggi il pre-ruolo è una via crucis fatta di rinnovi di anno in anno di contratti precari, senza certezze, per una durata totale di 12 anni fra assegni, RTDa e RTDb, in cui – bene che vada – un “giovane” ricercatore può ambire a diventare associato sui 38 o 40 anni. In realtà, come abbiamo mostrato nelle stime elaborate nella nostra VI Indagine Nazionale sul post-doc, con gli attuali livelli di reclutamento e tassi di abilitazione dell’ASN, solo il 6,5% degli attuali assegnisti potrà ambire a una posizione strutturata, mentre più del 93% sarà espulso dal sistema universitario, il 27% dei quali al termine di un contratto da RTDa.

Per troppo tempo i governi che si sono succeduti hanno perseguito lo smantellamento sistematico dell’università e della ricerca, attaccando i diritti e le prospettive di lavoro dei soggetti più deboli della comunità accademica mentre a parole dicevano di lottare contro i baroni. Per troppi anni i baroni dell’Università, compiacenti e complici, hanno accresciuto il loro potere sulla pelle di dottori di ricerca, assegnisti, borsisti, collaboratori, docenti a contratto, ricercatori a tempo determinato e delle altre figure precarie su cui oggi si reggono gran parte degli atenei.

È ora di dire basta.

Con questa prima proposta, a disposizione di ogni precario della ricerca, l’ADI si fa portavoce, insieme a tutte le realtà organizzate che ne condividono le premesse, di un piano radicale e urgente di riforma del pre-ruolo e di reclutamento straordinario e strutturale. La proposta qui presentata è frutto di un lungo percorso di riflessione ed elaborazione, ancora aperto e non concluso, che condivide e fa proprie le principali idee emerse in più appuntamenti nazionali in cui l’ADI ha preso parte, a partire dall’assemblea nazionale dell’FLC-CGIL “Fuori dall’emergenza” del 2 ottobre 2015 fino ai più recenti tavoli di confronto con tutti i soggetti rappresentativi del mondo universitario.

 

2. Contratto RTD unico per il post-doc

In ragione delle criticità evidenziate, relative agli attuali contratti di assegno di ricerca, e con l'obiettivo di semplificare ed uniformare le forme di lavoro post-dottorale, proponiamo il superamento della forma contrattuale dell'assegno di ricerca (così come normato dall'art. 22 della L.240/2010) e del RTDa (di cui all'art.24, comma 3, lett. a), in favore di un unico contratto post-doc da Ricercatore a Tempo Determinato (RTD), con compiti di sola ricerca.

Tale contratto dovrebbe prevedere un rapporto di lavoro di tipo subordinato in modo da garantire piene tutele sociali e previdenziali, incluso l’accesso a forme di indennità di disoccupazione alla scadenza del contratto. Al fine di evitarne ogni possibile abuso, tale post-doc dovrebbe essere bandito con una durata minima di 1 anno e comunque per un massimo di 3 anni, anche non consecutivi. A partire dal secondo anno, tale figura dovrebbe avere la possibilità di stipulare contratti integrativi di didattica, adeguatamente remunerata e compatibile con i compiti primari di ricerca, per un numero massimo di 40 ore al secondo anno e 60 ore al terzo anno.

Come conseguenza del contratto unico, il trattamento economico di partenza spettante agli RTD dovrebbe essere equiparato a quello di un attuale RTDa. Il requisito sufficiente per l'accesso ai bandi di RTD deve essere soltanto il titolo di dottore di ricerca, mentre l'eventuale stipulazione pregressa di contratti di post-doc (in Italia e all'estero) deve essere valorizzata in sede concorsuale nella valutazione comparativa dei curricula dei candidati.

 

3. RTDb/Professore Junior (PJ)

In linea con la proposta avanzata dal CUN, “Ripensare l’accesso della docenza universitaria”, proponiamo la trasformazione dell’attuale RTDb in un contratto da “professore Junior” (PJ), di durata triennale, con “tenure track”, al termine del quale si viene automaticamente inquadrati come professore di ruolo, previo conseguimento dell'Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN). Al fine di rendere tale meccanismo di tenure track conforme alle interpretazioni di altri paesi, si propone che la procedura di inquadramento come professore a tempo indeterminato sia soggetta esclusivamente al superamento della ASN ed all'espletamento degli obblighi contrattuali, togliendo così ai dipartimenti ogni potere di veto sull’accesso del PJ alla posizione di professore associato.

Il Professore Junior dovrà avere gli stessi diritti e le stesse prerogative degli attuali professori associati e ordinari per quanto riguarda gli aspetti legati alla ricerca (responsabilità di progetti nazionali e internazionali), dovrà essere membro effettivo del consiglio di dipartimento, partecipare all’elettorato attivo delle cariche accademiche e potrà assumere gradualmente incarichi didattici e organizzativi coerenti con quelli dei professori di ruolo.

L’accesso ai bandi per PJ dovrebbe essere consentito ai detentori del titolo di Dottore di Ricerca, mentre il possesso di altri titoli, inclusi contratti da post-doc (in Italia o all’estero), dovrebbe essere adeguatamente valorizzato in fase concorsuale.

 

Schema di riforma del pre-ruolo

 

4. Sostenere il reclutamento

Il sistema di reclutamento illustrato può giovare al sistema universitario solo se si accetta di mettere in campo precise misure per sostenerlo. In primo luogo è necessaria l’abolizione dei punti organico, la cui introduzione e ripartizione tra vari contratti ha fatto sì che la tipologia e la numerosità dei posti banditi non fosse collegata alle reali necessità di reclutamento, fornendo al contrario un pretesto per la proliferazione degli assegni di ricerca e il reclutamento con il contagocce degli RTD.

L’abolizione del meccanismo dei punti organico non è però sufficiente a sostenere il reclutamento di docenti universitari nei prossimi anni. A questo scopo è necessario separare i fondi destinati al reclutamento da quelli destinati alle progressioni di carriera, e garantire l’introduzione di un vincolo nella ripartizione di tali fondi. Se il problema attuale è mettere in sicurezza il sistema universitario evitando una drastica riduzione dell’offerta formativa e un sovraccarico delle figure già impiegate, tale vincolo dovrebbe essere posto almeno al 50%.

In questo quadro è altresì prioritario ristabilire il rapporto di 1:1 tra il passaggio a posizioni di professore unico (vedi paragrafo successivo) e reclutamento di Professori Junior, nonché un ragionevole livello di proporzionalità tra posizioni di RTD e di PJ. Se così non fosse si rischierebbe di assistere ad una proliferazione abnorme di contratti non-tenured, più economici per gli atenei, a scapito di quelli tenured, replicando la dinamica a cui abbiamo assistito negli ultimi anni con gli assegni di ricerca.

Allo stesso tempo è necessario che le ingenti risorse liberate di anno in anno dai pensionamenti dei professori ordinari siano indirizzate nella loro totalità ai fini del reclutamento e delle progressioni di carriera, almeno fino al raggiungimento dei livelli di reclutamento qui proposti nel piano strutturale (vedi paragrafo 6).

Infine, nessun ragionamento riguardante le nuove forme di reclutamento può essere vincolato dalla presenza di limiti al turn-over, di cui chiediamo quindi l’abrogazione.

 

5. Ruolo Unico della Docenza

Va superata la distinzione ormai anacronistica di status accademico, ruoli e prerogative tra PO e PA in favore di un'unica figura di docente di ruolo dopo la tenure track del PJ. Tale figura dovrà essere articolata su più fasce stipendiali, cui accedere non più per scatti automatici di anzianità, ma in base a una periodica valutazione dell’attività di ricerca e di didattica.

 

6. Misure per il rifinanziamento del sistema universitario

Nessuna riforma del pre-ruolo è sostenibile “a costo zero”. Crediamo pertanto che non sia più procrastinabile un generale rifinanziamento del sistema universitario che allinei il nostro Paese alla media dei Paesi OCSE per investimenti pubblici in Università e Ricerca.

Assieme ad esso, riteniamo che sia fondamentale l'attuazione di un piano strutturale e immediato di reclutamento di giovani ricercatori, nel numero di almeno 20.000 Professori Junior nei prossimi 4 anni. Questa cifra, seppure di un ordine di grandezza superiore ai piani di reclutamento sin qui implementati dall'entrata in vigore della L.240/2010, sarebbe appena sufficiente per mettere in sicurezza il sistema ed evitarne il collasso a fronte della costante riduzione di personale strutturato negli atenei italiani che si è riscontrata negli ultimi 6 anni.

Parte di questo piano potrebbe essere finanziata da subito attingendo ai circa 450 milioni di euro del “tesoretto” dell’IIT, che l’ex ministro Giannini si era impegnata a reinvestire nella ricerca pubblica. Metà della cifra richiesta dal piano strutturale qui proposto sarebbe inoltre reperibile stornando i fondi destinati allo Human Technopole (un miliardo e mezzo in cinque anni), a cominciare dai più di 700 milioni di euro già stanziati con la legge di bilancio 2017.

 

7. Conclusione

La riforma del pre-ruolo e l’annesso piano di reclutamento qui proposti si integrano a vicenda. Solo la loro implementazione congiunta è in grado di garantire la “messa in sicurezza” del sistema universitario, premessa indispensabile perché l’università torni a crescere e ad assumere il ruolo di motore dello sviluppo sociale, culturale ed economico del Paese.

Il piano di reclutamento qui avanzato - condiviso dalle maggiori organizzazioni rappresentative del mondo dell’Università e della Ricerca - restituisce una prospettiva alle migliaia di ricercatori precari, riportando in tempi brevi la numerosità del personale strutturato ai livelli del 2008. Questo consentirebbe un deciso miglioramento dell’offerta didattica e di ricerca del sistema universitario italiano.

Ad oggi migliaia di ricercatori sono costretti a lasciare l’Università dopo anni di lavoro, con una dispersione di risorse e potenziale di sviluppo umane che erode nelle fondamenta la capacità di innovazione dell’intero Paese. La riforma del pre-ruolo e il piano di reclutamento che proponiamo sono soluzioni efficaci e concrete a questo problema. La semplificazione delle figure pre-ruolo porrebbe fine allo sfruttamento dei contratti precari, introdurrebbe standard di diritti e tutele minimi per tutti i ricercatori e ridurrebbe a 6 il numero massimo di anni che intercorrono dalla conclusione del dottorato al reclutamento come professore di ruolo. Un miglioramento netto delle condizioni di vita e di lavoro per chi fa ricerca e didattica nell’università, che coinciderebbe con un miglioramento complessivo della qualità e livelli di produttività scientifica e rinnovamento della didattica. I diritti, le tutele e le prospettive di chi lavora - nell’Università come fuori da essa - sono alla base dello sviluppo dell’intera società.