La condanna di Zaki squarcia il velo dell’ipocrisia sulle promesse dell’Egitto

Mentre l’Italia si dimostra orgogliosa di riallacciare i rapporti di cooperazione scientifica con l’Egitto, il tribunale di Mansura condanna Patrick Zaki a tre anni di carcere. Zaki si è da poco laureato presso l’Università di Bologna, dove aveva seguito il Master in studi di genere nel corso del quale, durante un breve rientro in Egitto a febbraio del 2020, era stato arrestato con l’accusa di essere una minaccia per la sicurezza nazionale, di incitare alle proteste illegali e al terrorismo e, in ultimo, di aver diffuso notizie false sull’Egitto. Quest’ultima accusa, nello specifico, si riferisce a scritti di Zaki, a lungo attivista per i diritti umani, riguardanti un attentato dell’ISIS e casi di discriminazione ai danni dei copti nel suo Paese, cosa che ancor più configura il suo arresto e la sua condanna come pesanti violazioni dei diritti umani nonché del principio di libertà di ricerca e d’informazione.

Era solo il 14 di marzo quando la Ministra dell'Università Anna Maria Bernini dichiarava alla stampa di essere soddisfatta delle promesse di Al-Sisi in merito alle nostre “questioni irrisolte”, sorvolando sulla gravità dei casi Regeni e Zaki e sulle implicazioni che entrambi hanno proprio sulla questione della ricerca e, in particolar modo, della libertà di quest’ultima e della sicurezza di chi vi lavora. Ci si aspetterebbe una ferma condanna da parte del governo e, ancor più, del Ministero dell’Università e della Ricerca, nella consapevolezza che vuote promesse non possono e non devono bastare a riprendere con entusiasmo le collaborazioni con un Paese che non intende garantire la libertà di ricerca, un Paese dove per ricerca si può essere incarcerati, torturati e perfino uccisi.

L’Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca in Italia esprime la sua vicinanza a Patrick e ai suoi cari e sostiene le manifestazioni di solidarietà e protesta che hanno già preso vita a partire da ieri a Bologna.