PhD “InPA” e “Innovativo e industriale”: opportunità o creazione di future ingiustizie?

Il DM 351 del 09/04/2022, come comunicato dal Ministero dell'Università e della Ricerca stesso, ha come obiettivo quello di “aumentare, promuovere e valorizzare l'alta formazione e la specializzazione post-laurea, innovando i percorsi di dottorato e promuovendoli anche all'interno delle amministrazioni pubbliche e nel patrimonio culturale, supportando così queste realtà verso una maggiore digitalizzazione, verso la "cultura dell'innovazione" e l'internazionalizzazione”; tuttavia, tali risultati, difficilmente potranno essere raggiunti con misure di questo genere.

L’ADI accoglie con favore l’attenzione rivolta a coloro che conseguono il più alto grado di formazione previsto dall'ordinamento italiano, ma tale azione rimane poco concreta e vana se non integrata nel contesto di una visione chiara della valorizzazione a lungo periodo dei dottori e delle dottoresse di ricerca nella PA. Tale visione a lungo termine, nonostante i numerosi annunci dell’ex Ministro Brunetta, sembra essere assente se si considerano le azioni in essere, che sembrano puntare a titoli sensazionalistici più che ad azioni concrete che varino le condizioni di fondo dei dottori e delle dottoresse di ricerca, che già lavorano nella PA. Non vi è, di fatto, ancora una chiara e definita valutazione del dottorato di ricerca tra i titoli concorsuali, dove spesso è valutato alla stregua di un master o considerato solo se conseguito entro certi termini temporali, oltre che completamente assente come requisito di accesso del personale all’Area IV dedicata alle elevate professionalità (EP) nell’ipotesi del nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del comparto Funzioni Centrali.

Nulla è cambiato in merito al mancato riconoscimento del periodo di dottorato come attività lavorativa pregressa all’interno della PA. Questa situazione appare paradossale ed evidentemente poco orientata ad un fattivo riconoscimento del titolo di dottore di ricerca nella PA. Pertanto, appare inaccettabile l’attuale orientamento teso ad incentivare borse di studio finalizzate ad un dottorato ad hoc per la PA. Queste mancanze sono inaccettabili ed ingiustificabili, oltre che significative dell’assenza di una strategia più articolata per un riconoscimento sostanziale del dottorato nella PA che è evidente non possa risolversi con la definizione di borse di dottorato ad hoc per la PA.

A tutto ciò si aggiungono perplessità e timori in merito alla creazione di percorsi di dottorato creati appositamente per la PA: come è possibile conciliare lo svolgimento di un’attività di ricerca all’interno delle Pubbliche Amministrazioni? I futuri Dottori di ricerca che avranno completato questo percorso ad hoc avranno dei percorsi agevolati per il reclutamento all’interno della PA o saranno equiparati, senza la creazione di alcun tipo di discriminazione, a tutti gli altri Dottori di ricerca?

 

Nella stessa direzione, purtroppo, sembra muoversi si muove il DM 352 del 09-04-2022, che prevede il finanziamento di 5.000 borse per dottorati innovativi che “rispondono ai fabbisogni delle imprese e promuovono l'assunzione dei ricercatori da parte di queste ultime”, che sembra certamente assolvere al primo intento ma quasi per nulla al secondo. Invero, se da un lato l’impegno del MIUR appare concreto nell’indirizzare i finanziamenti di borse di dottorato seguendo le necessità delle imprese, dall’altro lato continua a persistere uno scarso riconoscimento del titolo nello stesso settore.

Come se la scarsità di fondi per la ricerca di base non fosse sufficiente, continuando, di fatto, ad insidiare l’Articolo 33 della Costituzione, altrettanta pervicacia non è presente nel riconoscimento del dottorato all’interno dell’impresa. Un aumento del numero delle borse di dottorato, così concepito, è quindi una misura del tutto inadeguata a promuovere l’assorbimento di dottori e dottoresse di ricerca nelle imprese. Infatti, non vi sono alcune garanzie sul prosieguo del rapporto di lavoro tra industria e dottore di ricerca dopo il conseguimento del titolo, come rimane nelle opportunità del privato cercare finanziamento di un successivo dottorato, continuando ad avere risorse altamente qualificate ad un bassissimo costo, specie se si considera che il tessuto industriale nazionale è costituito prevalentemente da PMI che prevedono poco o per nulla attività di ricerca. Inoltre, qualora si dovesse dare seguito ad un rapporto lavorativo, questo vedrebbe condizioni pari a quelle di un laureato senza dottorato, specie a livello retributivo, essendo del tutto assente la figura del dottore di ricerca nei CCNL. Del resto, i dottorati innovativi ed industriali visti fino ad oggi, che anche si proponevano l’obiettivo della rivalutazione dell’attività di ricerca nelle aziende, non hanno dato risultati diversi da quelli descritti. Allo stato attuale, appare chiaro come sia per le aziende che per la PA è assente un’azione strutturale e strutturata che dia la giusta dignità al dottorato di ricerca.

Nei fatti, dunque, il grande numero di borse di ricerca finanziate vedrà l’unico risultato di esasperare il collo di bottiglia esistente nell’accademia che, ad oggi, è l’unico settore nel quale il dottorato di ricerca trova davvero un opportuno riconoscimento, rendendo la carriera nella PA e nell’industria solo dei ripieghi dopo essere stati espulsi dall’accademia.

Il problema del riconoscimento del titolo di dottore di ricerca deve essere affrontato su larga scala attraverso un cambio di prospettiva che restituisca dignità lavorativa e professionale a dottori e dottoresse di ricerca sia nelle imprese che nella PA.

Se, infatti, si continuano a considerare i dottori e le dottoresse di ricerca come strumento per il miglioramento di PA e impresa, non si farà altro che varare misure temporanee e precarie di cui beneficeranno solo queste, ignorando del tutto la situazione di precarietà esistenziale che diventa endemica della condizione di ricercatori e ricercatrici. È necessaria un’inversione nella quale si mettano al centro i lavoratori e le lavoratrici della ricerca, dando la giusta dignità ad una professione che, indubbiamente può essere strumento per l’evoluzione del comparto della PA come del tessuto produttivo nazionale, ma che non può rimanere solo servile a questi scopi.