Scuola: cosa c'è in Legge di Bilancio per chi ha un dottorato

Scuola: cosa c'è in Legge di Bilancio per chi ha un dottorato

 

Scuola | Legge di Bilancio | La Legge di Bilancio, nella sua ultima versione, riserva alcune novità per il mondo della Scuola.

Le modifiche apportate al D. Lgs.  59/2017 riducono il periodo di formazione dei vincitori di concorso per l’accesso all’insegnamento da tre anni ad uno, creando il nuovo "Percorso annuale di formazione iniziale e prova" in sostituzione del “vecchio” percorso FIT (v. art. 1, comma 459, lettera b). Mentre il vecchio DM 59 del 13 aprile del 2017 prevedeva per gli aspiranti insegnanti un concorso seguito da un percorso di formazione triennale, il nuovo decreto 59, modificato dal comma 459 della legge di bilancio, abolisce i primi due anni e sostituisce il terzo con un anno di formazione e prova che ha lo scopo di verificare gli standard professionali del docente attraverso modalità di verifica in itinere e una valutazione finale.

La ratio del superamento del FIT non va però nella direzione di un ripensamento organico e costruttivo della figura del docente e della Scuola.

La riduzione della durata dell’ex percorso FIT nella Legge di Bilancio nasconde chiaramente l’intenzione del governo di risparmiare sul periodo di formazione dei futuri docenti. Non riscontriamo, ad esempio, alcuna misura volta a incrementare il numero degli insegnanti e non vediamo alcuna proposta per ottimizzare al meglio l’anno di formazione e prova. Con tutta probabilità, i posti messi a bando saranno quelli dovuti ai pensionamenti e, come accade ormai da decenni, la scuola si reggerà su quei precari che, pur non essendo abilitati, vengono impiegati per supplire alle carenze di una politica storicamente distratta dalle problematiche relative a Scuola e Università. Incrementare il numero di docenti e migliorare la qualità della loro formazione significa migliorare la didattica del sistema scolastico italiano e attenuare il fenomeno delle “classi pollaio”. Sarebbe necessario infatti istituire un piano di assunzioni programmatico e pluriennale che non soddisfi solo le esigenze ordinarie ma che dia la possibilità sia ai nuovi aspiranti docenti e sia ai precari storici di concorrere concretamente all’immissione in ruolo. Il provvedimento mortifica la preparazione di tanti aspiranti insegnanti anche perché prevede l’obbligo di scelta, in fase concorsuale, di una sola classe di concorso (articolo 3 comma 5). In questi anni però l’assenza di politiche di reclutamento nel settore istruzione e ricerca ha portato tantissimi precari a formarsi ulteriormente attraverso scuole di specializzazione, dottorati senza borsa di studio o con il semplice cumulo di CFU. L’obiettivo di queste persone era proprio ottenere più possibilità in concorsi che finora non sono stati mai banditi e questo provvedimento vanifica i loro sforzi. Ancora una volta in questo paese non vi è premialità per chi investe le proprie risorse umane ed economiche in istruzione e formazione.

Lo stesso discorso vale per chiunque abbia conseguito un dottorato. La nuova disposizione non contiene, infatti, misure volte a valorizzare i dottori di ricerca nel mondo della scuola, ignorando le esperienze di didattica e di ricerca già maturate all’Università. Il titolo di dottore di ricerca continuerebbe a essere valutato solo in termini di punteggio, non considerando l'immenso valore che tante colleghe e tanti colleghi potrebbero apportare al nostro sistema scolastico nazionale dopo gli anni di formazione all'università sia sul piano della didattica e sia sul piano della ricerca in contesti scolastici. Abbiamo più volte sottoposto le nostre proposte sulla Scuola ai tecnici del MIUR e alla VII Commissione Parlamentare chiedendo il riconoscimento della didattica universitaria, l'equiparazione tra dottorato e anno di servizio come già avviene nelle graduatorie di istituto e l’esonero dei dottori di ricerca dalla prima prova di carattere disciplinare. Con la stessa logica contestiamo il comma 6 dell’articolo 3 del D. Lgs. 59, dove si dichiara di valutare i titoli accademici e scientifici al massimo per il 20% del punteggio complessivo ottenuto al termine delle prove concorsuali. Per questo motivo, avevamo proposto alla VII Commissione di allargare fino al 30% la valutazione dei titoli, in modo tale da tutelare un’intera generazione che in attesa di concorsi fantasma ha provveduto ad accrescere la propria preparazione.

Crediamo sia necessaria un’attenta riflessione sui meccanismi di definizione dell’accesso all’insegnamento, delle immissioni in ruolo e del sistema didattico che sia in grado di andare oltre le miopi esigenze di cassa di breve periodo. Il progressivo definanziamento che la Scuola ha subito nell’ultimo decennio ha generato un conflitto tra le varie categorie coinvolte e diffuso la pratica del ricorso alla Giustizia Amministrativa. Chiediamo dunque una politica attenta che promuova una prassi dialogica con i tanti precari e con tutti gli aspiranti insegnanti d’Italia. Chiediamo che le nostre proposte vengano accolte e che il Ministero provveda al più presto alla definizione delle tempistiche concorsuali per tutti coloro che da anni attendono una risposta. Noi continueremo a batterci in tutte le sedi preposte per realizzare la nostra idea di istruzione in Italia.